Io la chiamo “microcomunicazione”

Ho dato un nome a quello su cui sto lavorando molto da qualche tempo.
Lavoro da sempre nella comunicazione, ma mai come oggi vedo la necessità di fare una distinzione tra "macrocomunicazione" e "microcomunicazione", senza che i termini "macro" e "micro" abbiano a che fare con il loro grado di importanza, tutt'altro.
Quante volte mi è capitato di avere a che fare con realtà che comunicavano verso l'esterno con social e pubblicità in modo grandioso, spesso grazie ad agenzie eccellenti, ma poi trovavo all'interno enormi problemi di comunicazione interna, sia verticale, tra i vertici e i dipendenti o collaboratori, sia orizzontale, all'interno di team di lavoro e tra diversi team.
Quante volte un'immagine costruita egregiamente non ha poi corrisposto alla realtà vissuta nella mia esperienza da cliente.
Ecco, la "microcomunicazione" riguarda proprio questi aspetti spesso trascurati a favore di quello che facciamo comparire nella nostra vetrina.
Pensate ad un negozio che dietro ad una vetrina scintillante, appaia poi spoglio, scarso di prodotti e magari anche con un rapporto con il cliente che entra attratto, poco coinvolgente, magari con commessi scontenti del loro lavoro che difficilmente riescono a nasconderlo.
Pensate ad un'automobile dalle linee affascinanti e coinvolgenti, ma con una motorizzazione del tutto insufficiente, o gravi problemi che si percepiscono subito nel classico "giro di prova".
Pensate ad un bellissimo pacchetto regalo che una volta scartato non contenga niente.
Una bellissima discoteca, vuota.
La vita reale non è una vetrina, ma un'attività in cui la "microcomunicazione" è fondamentale e lo sarà sempre di più.
Marco Fasoli